domenica 16 agosto 2009

Leonard Cohen


(2004)
In questi giorni, Bob Dylan è in Italia e si torna a parlare di lui. Ha segnato un'epoca, e fa davvero parte della Storia, anche se come cantante è ormai poco più di un'ombra. Ha sempre molti estimatori per la sua poesia, tanto è vero che la voce su una sua candidatura al Nobel torna ogni anno, a settembre. Su quest'ultima cosa sono molto perplesso: è vero, Dylan ha scritto molte belle liriche ma molto spesso (quasi sempre) è oscuro e incomprensibile, e secondo me i poeti non dovrebbero essere così - non sempre, quantomeno. Un caso simile è Leonard Cohen, canadese di New York che nasce poeta (negli anni '50) e poi diventa cantante di successo, ed è uno stato uno dei maestri del nostro De André. A differenza di Dylan, Cohen ha una bella voce imponente, tra il profeta biblico e il cantante confidenziale; da come canta, conoscendo poco l'inglese, si ha l'impressione che stia davvero dicendo delle cose importanti. Ma poi mi sono letto tutti i suoi testi, anche i più belli, e l'impressione è la stessa di Dylan. Dovendo guardare ai testi, alla loro stranezza e bellezza ma anche al loro grado di comprensibilità, io non sto né con Dylan né con Cohen ma con Tim Buckley; ma il mio parere vero è che si può far poesia anche senza scrivere versi, e magari anche senza usare le parole; e secondo me i tre più grandi Poeti del Novecento, meritevolissimi del Nobel, sono stati (in quest'ordine) Arthur Stanley Jefferson, Charles Spencer Chaplin e Charles Monroe Schulz.
(10 luglio 2004)

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