domenica 16 agosto 2009

Un grande critico musicale


Rimpiango molto il mio vecchio caro gatto siamese, insieme abbiamo passato dei gran bei momenti, ascoltando musica e leggendo. Cioè, io leggevo e scrivevo; lui non so bene cosa facesse mentre ascoltava così intento e assorto Beethoven e Brahms, forse pensava, forse sognava di sue vite passate, chissà (forse perché era nato a Parma?). Aveva precisi e raffinatissimi gusti musicali. Non ha mai amato il rock, e il suo interesse per il mio stereo era stato fin lì limitato al moscone che i Pink Floyd avevano messo su Ummagumma, ma solo da piccolo e solo per il tempo di capire che non era un moscone vero. Ma poi le cose erano cambiate, io avevo cominciato proprio in quegli anni ad ascoltare musica sinfonica e operistica, e quando la puntina scese per la prima volta su quel coro del Nabucco (il primo, “Gli arredi festivi”) il gatto stava facendo con grande piacere quello che quasi tutti i gatti di casa fanno: rincorreva senza sosta una cartina di caramella accartocciata. Durante il gioco, il gatto finì sul mio letto proprio mentre partiva il coro di Verdi: e il micio si fermò di colpo, rimanendo assolutamente immobile per tutta la durata del disco. Ricordo ancora mio padre incuriosito dal comportamento del gatto: avevamo provato a spostarlo con delicatezza, a toccarlo, a far scricchiolare la cartina, ma non c’era niente da fare; ed è da quel giorno che ho avuto il gatto siamese come compagno fedele d’ascolto. Quando trovava la porta della mia stanza chiusa, si metteva seduto con un’espressione così desolata che mia madre apriva e mi chiedeva se non avevo cuore a lasciarlo fuori così; e quando provavo a rimettere il rock il gatto se ne andava a dormire, ma in un’altra stanza, non prima di avermi lanciato un’occhiata di rimprovero e forse anche di disprezzo, perché per lui quella non era musica. Non amava neanche lo Stravinskij di “La sacre du Printemps” che per lui era un’accozzaglia di suoni senza senso; ma gli piaceva "Petruska" e sicuramente avrebbe amato molto le sinfonie di Bruckner, ma a quell’epoca non lo avevo ancora scoperto (con gli lp da girare ogni venti minuti, ascoltare il fluviale Bruckner non era facile).
Ho detto che andava a dormire, perché da me non dormiva. Un gatto che dorme, si sa, è un gatto stravaccato o appallottolato; invece il mio amico in ascolto era sempre composto, si metteva comodo con le zampine sotto il corpo, in posa quasi da sfinge, immobile e con gli occhi chiusi, ma con le orecchie ben tese e attente, sistemate nella posizione migliore per percepire nel modo migliore il suono che usciva dalle casse dello stereo. E, quando il disco finiva, usciva dal suo samadhi; apriva gli occhi, consentiva ad essere spostato e mi permetteva (mi spingeva?) di alzarmi per cambiare il disco, operazione che oggi con i CD sarebbe evitabile. Dopodiché, tornava nella sua posizione preferita (addosso a me, naturalmente: chi conosce i gatti sa cosa intendo) e riprendeva l’ascolto. Non per questo cessò di inseguire le carte di caramella, o di arrampicarsi sugli alberi quando poteva scendere in giardino: in fin dei conti, era pur sempre un gatto e, si sa, gatti si nasce e non si diventa.

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