«(...) I suoni di strada, anche i più allegri nel motivo, sono sempre suoni tristi, e non è la povertà o la mutilazione o l'età dei musicanti a renderli tali. Nel trattatello impazzito di luce di García Lorca sul duende, l'oscura presenza animatrice dei cantante, dell'attore, del saltimbanco, del musico (il termine castigliano è intraducibile) è detto che "tutto ciò che ha suoni tristi ha il duende". Per contro, il duende non anima che i suoni tristi o meglio, la sua presenza di elemento e partecipazione divina li trasforma in tristi, per incantamento. E la musica di strada è sempre, poiché enduendada, "simile al grido lontano dell'umano dolore" (è Baudelaire che lo dice). Chi non ne riceve trafittura ha corazza sul cuore. » (Guido Ceronetti, dal "Corriere della Sera" del 24.12.2001)
Improvvisare è bello, però bisogna essere almeno in due. Alle volte, è necessario anche il pubblico: basta una persona, un terzo che osserva e approva, oppure non approva ma, in qualche modo, partecipa: anche solo con un cenno o con un sorriso. Per esempio, l'anno scorso ai primi di dicembre passavo per Milano, ed ero uno dei pochi ad avere l'ombrello: non che sia un merito, anzi. Però quando si mise a piovere io ero al semaforo che dalla piazza, venendo dalla Galleria, porta in via Filodrammatici; lì mi raggiunge una bella signora in bicicletta, che deve fermarsi per il semaforo rosso, e così io posso offrirle riparo sotto l'ombrello. Solo un attimo, ma la piccola recita è venuta bene: a voi non è mai successo? Più tardi, nel pomeriggio, mi fermo alla libreria Feltrinelli e mi diverto a passare il tempo guardando i libri. Un'altra bella signora elegante mi chiede se le posso prendere quel libro là in alto, quello della Mazzantini. Io che sono alto e ci arrivo, sarei così gentile? Certo che lo sono: anche per il piacere di improvvisare.
Il mondo è un palcoscenico, si sa: ognuno ha le sue entrate e le sue uscite, come si conviene. E' difficile essere all'altezza di cotanto palcoscenico, ed è molto più facile fare brutte figure o pessime piazzate. Non essendo io un attore da piazzate, anche perché me ne mancherebbe la voce, (e poi ho un fisico imponente, e come diceva Orson Welles a me spetterebbero solo le parti da re e da persona importante: come si fa? Mica si improvvisano, parti come queste, e il fisico non me lo posso mica cambiare), preferisco scegliere gli angoli del palco, fare la comparsa però con eleganza - beh, fin dove arrivo.
Non è che si debba essere sempre protagonisti. Per esempio, sempre a dicembre e sotto le feste, ero a Como e sotto Porta Torre c'era un fisarmonicista, forse zingaro e certamente slavo o balcanico. Era bravissimo, e suonava un repertorio antico e profondo: ma era lacero, malvestito, e la fisarmonica era vecchia e senza dubbio gloriosa, ma non si capiva come faceva a suonarla così bene, visto che rischiava di cadere in pezzi da tanto che era stata usata. Gli passo davanti, colpevolmente, senza dargli niente. Per punizione, pochi metri più in là, appena passato il liceo, ecco un sax amplificato e rumoroso, con tanto di basso insistente ed elettronico nello scatolone dell'amplificatore. E, per di più, suona jingle bells in stile swing: la cosa peggiore, credetemi. Torno indietro, vado dal mio omino d'altri tempi, che per timidezza sta nascosto proprio nell'ombra dietro Porta Torre, dal lato dell'edicola (chi mai vuoi che passi, lì dietro? pessima posizione per un mendicante), e gli dò due monete da due, di quelle con Dante sul recto. E mi ringrazia, perfino.
(Giuliano 22 dicembre 2006)
Life History of the Forget-me-not
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