"I miti della musica", li trovo in edicola: scorro i nomi e mi viene da pensare che si tratti di persone gentili, che cioè Vasco Rossi e Ligabue siano persone miti, musicisti tranquilli e buoni vicini di casa. Di più non riesco a immaginare, e me ne scuso ma non so cosa farci. Il mio problema nel considerare "un mito" i cantanti di Sanremo è che io di regola ascolto Schubert.
Vasco Rossi, così come De André e Battisti, o chi altro, è uno che ha scritto una dozzina di canzoni piuttosto belle; ed è tutto qui. Per il resto, difficile distinguere una canzone dall'altra, a parte qualche cosa nelle parole. E qui bisognerebbe fare un bel discorso sulla musica "popolare" e su quella "leggera", ma non so se ci riesco. Comunque, provo.
La distinzione fra musica colta, classica, e musica popolare nasce con l'epoca delle registrazioni fonografiche, cioè con il commercio. Una volta non esisteva, la musica era una sola e c'era un interscambio continuo tra musicisti colti e musicisti di paese: i cataloghi delle opere di Lully, di Gluck, di Monteverdi, di Brahms, sono pieni di danze popolari riadattate, reinventate, o semplicemente trascritte: i nomi di polka e mazurka in Chopin parlano già abbastanza chiaro, ma anche prima c'erano ciaccone, siciliane, sarabande, danze di tutti i tipi. A Napoli nel primo Ottocento il direttore del Conservatorio era Donizetti: difficile dire chi ha più dato e chi ha più preso; e una delle più popolari arie napoletane è la Tarantella di Rossini ("sta la luna in mezzo al mare...").
Il mio problema con la musica commerciale è questo: agli inizi del 900 Bartok andava in giro per le campagne a cercare la musica popolare, ma la musica popolare (non solo in Transilvania ma ovunque) era molto complessa, piena di ritmi e di armonie diverse. I nostri vecchi si annoiavano, sempre con la stessa musica, e gli piaceva cambiare e inventarsi cose nuove.
Per noi non è così, a noi piace vivere dentro un'ottava sola e sempre con lo stesso ritmo (soprattutto l'uzz-uzz dei bassi della musica da discoteca, sparati più forte che si può così sentono tutti). E' questo che non capisco, il volersi limitare, l'essere contenti del tran tran quotidiano quando si hanno, a due passi, vallate e montagne, fiumi e laghi, mari e oceani infiniti.
Mi sembra di essere come Reinhold Messner se lo portate sul Bisbino, o sul Monte Generoso. Dopo aver visto l'Himalaya e le Dolomiti, sul Monte Bisbino Messner vi guarderà perplesso e vi dirà qualcosa del genere: "Sì, tutto bello, bella la compagnia, bella la giornata, ottima la polenta taragna e buono anche il vino. Ma, le montagne: dove sono le montagne che non le vedo?"
(la strip fumetti fa parte di "Mutts" di Mc Donnell, dal mensile Linus anni '90)
Fango bollente - Vittorio Salerno
1 giorno fa
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