Sono stato convertito a Messiaen dal suo “San Francesco”. Sembra una battuta, ma Olivier Messiaen non è mica facile da ascoltare. Non era solo un musicista, ma anche un ornitologo: gran parte delle sue composizioni partono proprio dal canto degli uccelli, quelli di casa e quelli esotici. Messiaen annotava tutto, e trasportava il canto degli uccelli nella sua musica. Non sono abbastanza competente né in musica né in etologia per capire veramente che cosa ha fatto Messiaen; posso però dire con assoluta sicurezza che si tratta di qualcosa di sconcertante, nel contempo un ascolto piacevole e spiazzante, non astruso ma di estrema difficoltà.
Forse la vera difficoltà dell’operazione, quella che la rende pressoché impossibile, è che quello che noi chiamiamo “canto” degli uccelli in realtà non è affatto un divertimento, così come capita a noi umani, ma un vero e proprio sistema di comunicazione del tutto estraneo al concetto di musica così come noi lo intendiamo normalmente. E’ un equivoco costante: per quanto sia piacevole il canto del canarino, o dell’usignolo, si tratta di una forma di comunicazione e non di musica. Penso proprio che Messiaen ne fosse cosciente, e che quindi cercasse di fare qualcosa che a noi (a me in particolare) sfugge. Ma nell’unica sua opera, dedicata non a caso a San Francesco d’Assisi, avviene il fatto sorprendente: musica e canto degli uccelli si fondono davvero, la voce umana si piega agli intervalli del canto degli uccelli; e quando frate Leone davanti al Mistero dice “J’ai peur”, “ho paura”, sulle due note di un richiamo familiare che pare uscito dal bosco, tutto si fa più chiaro...
domenica 16 agosto 2009
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