Forse la vera difficoltà dell’operazione, quella che la rende pressoché impossibile, è che quello che noi chiamiamo “canto” degli uccelli in realtà non è affatto un divertimento, così come capita a noi umani, ma un vero e proprio sistema di comunicazione del tutto estraneo al concetto di musica così come noi lo intendiamo normalmente. E’ un equivoco costante: per quanto sia piacevole il canto del canarino, o dell’usignolo, si tratta di una forma di comunicazione e non di musica. Penso proprio che Messiaen ne fosse cosciente, e che quindi cercasse di fare qualcosa che a noi (a me in particolare) sfugge. Ma nell’unica sua opera, dedicata non a caso a San Francesco d’Assisi, avviene il fatto sorprendente: musica e canto degli uccelli si fondono davvero, la voce umana si piega agli intervalli del canto degli uccelli; e quando frate Leone davanti al Mistero dice “J’ai peur”, “ho paura”, sulle due note di un richiamo familiare che pare uscito dal bosco, tutto si fa più chiaro...
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