sabato 1 agosto 2009
Sette danze popolari rumene
Béla Bartòk, nei primi anni del Novecento, girava per le campagne del suo paese con i primi e rudimentali mezzi di registrazione del suono, per portarsi a casa la memoria del canto popolare della sua terra.
Esistono le foto di quel periodo: Bartok su un carretto a trazione animale, con in mano un ingombrante grammofono a tromba, a girare per l'Ungheria, la Transilvania, la Romania, la Moldavia... In seguito, avrebbero inventato mezzi di registrazione un po' meno rozzi, e Bartok ne avrebbe approfittato; purtroppo niente di paragonabile a quello che abbiamo noi a disposizione oggi. Le registrazioni di Bartok ci sono ancora, e ne ho ascoltata qualcuna, riportata su un bel cd che si chiama "The Bartok Album": sono fantasmi lontani e gracchianti ma ancora emozionanti. Molti dei canti registrati sono stati ripresi da Bartok nelle sue composizioni, e quindi sono ben riconoscibili.
Claudio Abbado ha raccontato di recente che, da bambino, fu indagato dalle SS di Milano: aveva scritto sui marciapiedi "Viva Bartok", e i soldati chiamati da Mussolini per occupare l'Italia non sapevano chi fosse. Abbado era troppo giovane per essere pericoloso, e a suo padre fu sufficiente dare un po' di spiegazioni; ma l'episodio è curioso e dà da pensare. Quanto a Bartok (1881-1945), ho sempre amato e apprezzato la sua musica (un amore al primo ascolto); ma da quando ho visto la sua foto su quel carretto, quasi cent'anni fa, in mezzo ai contadini, non riesco a pensarlo se non in quella posa. Negli anni Dieci, o Venti, o anche nei Sessanta, interessarsi alla musica folkloristica era considerata una bizzarria; ma Bartok non se ne curava e partiva, in carretto, con il suo grammofono registratore a cilindri di cera. Ci sono ancora musicisti così? Ci sono ancora scrittori così? Ci sono ancora persone così, che sanno amare il loro prossimo e dimostrarlo anche con questi metodi astrusi?
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