A me il rap non dispiace, e così anche l'hip hop. Forse non è musica, forse è più che altro voglia di comunicare, di esserci. E certamente è musica molto elementare, basata più che altro sul ritmo e sulla metrica. Ma, una volta detto questo, non posso non dire che una musica può essere molto semplice e molto bella, e che non è certo la complessità a rendere grande la musica: sarebbe troppo facile... L'esempio del blues è lampante: il blues classico ha una forma molto semplice e ripetitiva, ogni blues è simile (uguale, spesso) ad un altro blues; eppure ogni blues è diverso dall'altro, perché qui entra in ballo il vero grande mistero della musica, l'ispirazione si potrebbe dire, per semplificare il concetto. L'anima, forse.
Ma qui mi fermo subito, per non correre dietro a concetti troppo alti. Il rap, dicevo, è più ritmo e metrica che musica: e con questo si apparenta, forse, alla recitazione dei grandi poemi dell'antichità, ai cantastorie, alla poesia orale. Il vero problema del rap sta nella parola: di regola ci si capisce poco, e nel caso dei rappers americani io non capisco veramente nulla, e quindi mi perdo quasi completamente il fenomeno. Mi rimane la musica, il ritmo, che è poca cosa e alla lunga stanca. Ho ascoltato anche diversi rappers italiani, o qualcosa di simile al rap fatto da italiani (Caparezza è rap o è hiphop? Frankie-come-si-chiama è rap?) (Frankie HiNRG, I mean), e mi sono divertito molto. La metrica c'è, le rime sono belle e divertenti, i contenuti anche. Certo, per fare del rap bisogna avere un minimo di spessore personale; e qui sta il vero problema. Problema che, del resto, non è mica soltanto dei rappers ma di tutti noi, musicisti, poeti, film makers, blogghisti, youtubisti, telefonatori, chiacchieratori da caffè, genitori, figli, politici.
(nella foto: Caparezza & friends)
sabato 1 agosto 2009
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