Mosè è balbuziente, o quanto meno ha difficoltà di parola; in Esodo 4,10 si rivolge così al Signore: «Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua.» Il Signore gli risponde con molta durezza, accusandolo in sostanza di poca fede; ma Mosè insiste, e allora per poter diffondere la Parola il Signore delega suo fratello Aronne, che "sa parlare bene".
Arnold Schönberg partì da questo fatto per una sua libera interpretazione, che portò all'opera "Moses und Aron ", scritta negli anni '30 ed eseguita solo nel 1957. In quest'opera, durante la lunga assenza di Mosè nella quale gli Ebrei, credendo di essere stati abbandonati dal loro capo, ritornano agli idoli primitivi, Aronne sfrutta questa sua capacità di parola e ne approfitta, come del resto è descritto anche nella Bibbia nei capitoli successivi (Esodo 5).
Schönberg forza il personaggio di Aronne e lo rende importante e un po' bieco. Infatti, in Schönberg è proprio per la facilità di parola e l'abilità di comunicatore che il popolo abbandona volentieri Mosè, così lontano da loro, e da così tanto tempo, e sceglie di seguire Aronne nell'episodio del vitello d'oro...
Ascoltare quest'opera è un po' come camminare davvero nel deserto, e la lingua tedesca abbinata allo stile di canto scelto da Schönberg non aiuta molto. Schönberg era un ebreo un po' come Primo Levi, cioè molto annacquato; di religione era infatti protestante, ed anche a lui - come al dottor Levi - fu necessario che qualcuno usasse una certa insistenza per fargli ricordare le sue radici. Per sua fortuna fece in tempo ad andare in USA, dove visse abbastanza bene.
La musica di Arnold Schönberg non è mai facile, e la mia cultura musicale non mi consente di capire a fondo il suo percorso artistico; però ho letto molto dei suoi scritti, e ho per lui una grande ammirazione. Quest'opera è un esempio della sua profondità di pensiero, e letta oggi dà più di un brivido.
Chiudo con un brano di Schönberg (Stile e idea), tratto da una conferenza tenuta nel 1912:
"L'opera d'arte esiste anche se nessuno ne subisce il fascino, e il tentativo di razionalizzare il proprio sentimento è inutile... Forse mai come oggi è stato difficile dare a un artista ciò che gli è dovuto... Forse mai più di oggi sopravvalutazioni e sottovalutazioni sono dipese dal farsi commerciale dell'arte... Enorme è il numero di coloro che producono e non tutti possono essere dei geni. Alcuni aprono la via e gli altri non fanno che seguirli. Ma i molti imitatori che vogliono restare "competitivi" devono aggiornarsi di continuo sull'ultimissima novità del mercato... La nostra epoca si esprime in una folla di piccoli uomini..."
La cosa che mi impressiona di più è la data: 1912! (la si potrebbe usare a commento del '900 intero, e anche di questo inizio del nuovo millennio...)
(Giuliano, 3 giugno 2003)
Life History of the Forget-me-not
9 ore fa
2 commenti:
E' un post a cui è difficile togliere o aggiungere parole: c'è tutto sull'arte e su come sia mortificata dal mercato e dalla società dei consumi.
è un post che ha ormai undici anni... l'avevo scritto per il blog di Solimano. E devo dire che questa riflessione di Schoenberg è sempre più attuale, con l'aggiunta che oggi c'è in giro un'ignoranza abissale, ed è su quest'ignoranza che fanno leva i "facili nell'eloquio". In questo senso, le recenti dichiarazioni di Beppe Grillo e di Silvio Berlusconi sono state terrificanti, ma vedo che nessuno dei principali media si è alzato a dire con forza "cretino, cosa stai dicendo".
Eh sì, siamo nell'epoca del vitello d'oro trionfante, e Mosè è lontano. (le veau d'or, canta Mefistofele nel Faust di Gounod....) (est vainqueur de Dieu, secondo verso dell'aria)
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