Un paesaggio lecchese, dice la targhetta sotto il dipinto di Ennio Morlotti. Sarà... Mi allontano un po', come si deve fare quando si guarda un quadro di questo genere; poi un altro po'; ed infine lo vedo, il benedetto paesaggio. E' anche piuttosto bello. Però c'è un'altra cosa che mi colpisce, nelle tele di Morlotti, ed è la quantità di colore che vi si trova. Lo spessore del colore, in Morlotti, è impressionante: due, forse tre centimetri di crosta che sporgono dalla tela, quasi che Morlotti volesse dare una rappresentazione tridimensionale ai suoi paesaggi.
Penso che ai tempi di Leonardo, nel Rinascimento e anche prima e dopo, i colori costavano moltissimo e c'era molta fatica fisica dietro la preparazione dei colori. Si acquistavano le "terre", e i minerali (lapislazzuli, terra di Siena...), che poi bisognava macinare finemente, a mano. I colori costavano: denaro, tempo, e fatica. Trovare i colori non era facile, anche per i "produttori" e i commercianti. Gli azzurri splendenti, per esempio, se li potevano permettere solo i pittori di successo, quelli molto bravi e molto più pagati degli altri. Ricordo anche d'aver letto una cosa impressionante sui neri fumosi di quel periodo: lo chiamavano "color mummia", ed erano davvero fatti macinando pezzi di mummia, rari e costosi, provenienti dal lontano e misterioso Egitto. E la usavano anche in farmacia, la mummia, ai tempi del Tintoretto... Oggi è tutto più facile: basta spremere dal tubetto, e poi stendere con la spatola. E' vero che i tubetti non sono a buon mercato, ma a me questo sembra davvero uno spreco. Meglio i sacchi di Burri, mi viene da pensare...
(anno 2001 circa)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento