giovedì 23 luglio 2009

Ennio Morlotti

Un paesaggio lecchese, dice la targhetta sotto il dipinto di Ennio Morlotti. Sarà... Mi allontano un po', come si deve fare quando si guarda un quadro di questo genere; poi un altro po'; ed infine lo vedo, il benedetto paesaggio. E' anche piuttosto bello. Però c'è un'altra cosa che mi colpisce, nelle tele di Morlotti, ed è la quantità di colore che vi si trova. Lo spessore del colore, in Morlotti, è impressionante: due, forse tre centimetri di crosta che sporgono dalla tela, quasi che Morlotti volesse dare una rappresentazione tridimensionale ai suoi paesaggi.
Penso che ai tempi di Leonardo, nel Rinascimento e anche prima e dopo, i colori costavano moltissimo e c'era molta fatica fisica dietro la preparazione dei colori. Si acquistavano le "terre", e i minerali (lapislazzuli, terra di Siena...), che poi bisognava macinare finemente, a mano. I colori costavano: denaro, tempo, e fatica. Trovare i colori non era facile, anche per i "produttori" e i commercianti. Gli azzurri splendenti, per esempio, se li potevano permettere solo i pittori di successo, quelli molto bravi e molto più pagati degli altri. Ricordo anche d'aver letto una cosa impressionante sui neri fumosi di quel periodo: lo chiamavano "color mummia", ed erano davvero fatti macinando pezzi di mummia, rari e costosi, provenienti dal lontano e misterioso Egitto. E la usavano anche in farmacia, la mummia, ai tempi del Tintoretto... Oggi è tutto più facile: basta spremere dal tubetto, e poi stendere con la spatola. E' vero che i tubetti non sono a buon mercato, ma a me questo sembra davvero uno spreco. Meglio i sacchi di Burri, mi viene da pensare...
(anno 2001 circa)

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