Pablo Ruiz y Picasso a vent'anni dipingeva come Raffaello. Un bel problema. E' una cosa che riesce a pochi, e lui era uno di quelli; avrebbe potuto camparci bene, ma qualcosa non lo convinceva. E poi, più vicino a lui, c'era Seurat: e il giovane Picasso assomigliava molto a Seurat. Davvero molto, anche un po' troppo. Che fare? Guarda Seurat, guarda i suoi dipinti, e decide che non è quella la sua strada. Quella strada lì non era più percorribile: l'aveva già scoperta qualcun altro. E poi, come i bambini, Picasso si annoia; si mette a fare schizzi e pasticci, mostra a se stesso e al mondo tutte le sue facce, quelle visibili e quelle nascoste; e le mette tutte insieme in un dipinto solo. E poi passa a squadernare tutto il resto del mondo, quello visibile e quello che non lo è. Prende dunque tutto quello che aveva dentro la sua testa e lo mette giù sulla tela: ma proprio tutto, visto da tutte le parti e tutte le parti insieme. Una specie di inventario, di planimetria della sua mente; però funzionava, gli piaceva, e presto cominciò ad interessare anche ad altri. Aveva trovato la sua strada, e divenne ricco e famoso. Ma c'è poco da scherzare: quello dell'originalità, della propria personalità, della propria cifra espressiva, insomma dello stile, è un problema vero per tutti gli artisti, quelli veri. E' il problema che si trovò davanti, negli stessi anni, anche Arnold Schoenberg: Schoenberg a vent'anni componeva i Gurrelieder, la Notte trasfigurata: ma c'era già stato Mahler, e i "Canti del Castello di Gurre" sono musica meravigliosa ma a Mahler somigliano moltissimo. Anche qui, per il pittore come per il musicista, bisognava trovare nuove strade, nuovi sentieri: una scelta scomoda ma inevitabile, se si vuole rimanere se stessi.
A Picasso andò benissimo, a Schoenberg un po' meno (dal punto di vista economico, intendo), ma tutti e due hanno lasciato un segno importante nella storia del Novecento, che di loro non può proprio fare a meno. Ma non so quanto siano stati digeriti dal pubblico, dalla gente. La strada di Schoenberg, la dodecafonia, è affascinante ma assomiglia davvero a un sentiero di montagna di quelli ripidi, da esperti e da camminatori allenati. Picasso è dappertutto, ma non ce ne accorgiamo quasi più: nei vestiti, nei giornali, nei cartelloni pubblicitari...
E poi la fase "astrusa" di Picasso, quella che l'ha reso famoso, tutto sommato dura poco. Picasso ha una vita lunga, e una bella mostra milanese, un paio d'anni fa, ha mostrato bene il suo percorso artistico. Nell'ultima fase della sua vita, Picasso diventa essenziale, fa disegni e schizzi memorabili, gli basta una matita per fare meraviglie. I suoi Tori, per esempio: che sembrano quelli di Lascaux, di Altamira... E il cerchio si chiude: il grande innovatore, e i maestri nostri antenati. Che cosa fare, dopo Picasso? Il Novecento una risposta non ce l'ha data, gli ultimi 50 anni sono stati un girare su se stessi, riproponendo le stesse cose pensando di provocare, ma senza avere il coraggio che ebbero, cent'anni fa, artisti veri come Picasso e come Schoenberg.
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