sabato 25 luglio 2009

I portici di Santa Maria Novella

Tre anni fa, il 23 giugno del 2002, ero a Firenze e faceva un caldo boia, prologo a quello memorabile che sarebbe venuto l'anno seguente, e che sarebbe durato quasi tutta l'estate. Era quasi mezzogiorno, ed ero dentro Santa Maria Novella; stavo pensando a dove andare a ripararmi dal caldo, ma nei portici del chiostro c'era un quartetto d'archi, e stava per iniziare un concerto. E così mi siedo su un gradino, in un angolo ben riparato, e mi metto in ascolto con le altre persone presenti. E si stava bene, sotto gli antichi portici, nell'atrio dell'antico chiostro. Ogni volta che si parla di caldo, del gran caldo (e lo si è fatto spesso, soprattutto nei tg, in questi ultimi anni...) ripenso a quel mio mezzogiorno fiorentino, e all'abilità di quegli antichi costruttori, che sapevano bene cosa stavano facendo e perché lo facevano. Oggi abbiamo dei materiali migliori, almeno in teoria: ma si costruiscono cose senza senso, in cemento, senza alberi, senza portici (costano troppo e non portano soldi), in fretta; e sembra quasi che gli architetti, quando li lasciano lavorare, s'inventino forme strabilianti solo per distinguersi gli uni degli altri, ma senza una vera utilità pratica per chi, poi, nelle città ci dovrà vivere.
E invece io quel giorno a Firenze, come i fiorentini dei secoli passati e lontani, mi sono riparato dal caldo e sono stato bene per un'ora. A proposito, il programma del concerto era questo: Haydn, Quartetto in re maggiore op.65 n.5 "L'allodola" ; Cherubini: Quartetto in fa maggiore n.5, op. post.; Mozart: Rondò "in una pagina sola". Intorno a me, gli affreschi di Paolo Uccello (danneggiati dall'alluvione del 1966, che peccato); e, sulle colonne, una decorazione fantastica con uccelli simili a gufi o barbagianni, decisamente curiosa e molto rossiniana, sui quali vanno a posarsi i passeri e i piccioni, incuriositi o forse disturbati dal concerto. All'ora canonica, le campane di Santa Maria Novella si fanno sentire e il primo violino s'interrompe per un attimo, sorridendo e indicando il cielo con l'archetto: ubi maior... A fine concerto, all'uscita nella piazza assolata, i piccioni sostano sulle quattro tartarughe alla base dell'obelisco col giglio, e paiono formare una strana bestia, forse una nuova specie d'ippogrifo pronta a volare via (ma, forse, è solo l'effetto del caldo che torna a farsi sentire nella mia testa...)

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