giovedì 16 luglio 2009

L'ape di Neanderthal


Una vecchia storia sui bombi è che gli ingegneri della Nasa li avevano studiati, a lungo, cercando di trarne indicazioni per far volare nuove macchine da guerra, forse elicotteri. La conclusione a cui erano giunti, alla fine dei loro calcoli, era questa: dato il rapporto fra le loro ali e il loro peso, i bombi non possono volare.
Non so se nel frattempo alla Nasa abbiano perfezionato i loro studi, ma durante tutto questo periodo i bombi, felicemente all'oscuro di questo parere, hanno continuato a volare e a ronzare, appoggiandosi sui fiori con tutto il loro peso, facendoli piegare sotto lo sforzo ma sempre ben accolti.
Molti - quasi tutti - li confondono con i calabroni: ma il calabrone è una grossa vespa (vespa crabro è infatti il suo nome scientifico) veloce, aggressiva e pericolosa; invece il bombo è un cugino delle api, un parente un po' rozzo, peloso come un orso e tutto sommato quieto. Proprio come le api, se non lo si va ad importunare il bombo ( bombus terrestris e affini) continua imperterrito la sua opera entrando e uscendo dai calici dei fiori, senza pensare ad altro.
Intanto che mi chiedo come fa a volare (è inevitabile chiederselo), e soprattutto come fanno i fiori a non cedere sotto cotanto peso (non cedono, anzi si offrono volentieri), vado a vedere cosa ne diceva il belga Maeterlinck, cent'anni fa, in un libro famoso.
(...) I bombi, quelle grosse api vellutate, rumorose, temibili d'aspetto, ma pacifiche, e che tutti abbiamo presenti, sono in un primo momento dei solitari. Ai primi di marzo, sopravvissuta all'inverno, la femmina fecondata dà inizio alla costruzione dei nido, sottoterra o in un cespuglio, a seconda della specie dì appartenenza. All'affacciarsi della primavera essa è sola al mondo. Ripulisce, scava e tappezza il luogo scelto, e costruisce poi qualche cella di cera, piuttosto informe. Guarnitele di miele e polline, vi depone le uova, e le cova, accudendo e alimentando le larve che si schiudono. Si trova così presto attorniata da una moltitudine di figlie, che le danno una mano in ogni faccenda, dentro e fuori dal nido. Alcune di esse inoltre iniziano pure esse a deporre uova. Il benessere va crescendo, e migliorando il modo di costruire le celle. La colonia s'ingrandisce. Colei che le ha dato vita ne rimane l'anima e la madre principale, e si trova a capo di un regno che può costituire l'abbozzo di quello della nostra Apis mellifica. Un abbozzo, però, piuttosto rozzo. La prosperità della colonia resta infatti limitata, e le leggi sono imprecise e poco rispettate. Rifanno la loro apparizione inoltre, saltuariamente, il cannibalismo e l'infanticidio primitivi, e l'architettura è dispendiosa, e come informe. Ciò che però veramente rende diverse le due città è che l'una è permanente, l'altra effimera. La città dei bombi infatti si estinguerà totalmente durante l'autunno. Moriranno i suoi tre o quattrocento abitanti, senza che resti traccia del loro passaggio. Tutto lo sforzo andrà disperso, e non gli sopravviverà che un'unica femmina, per ricominciare nella stessa solitudine, la primavera seguente, e nella stessa miseria della madre lo stesso inutile lavoro. (...)
(Maurice Maeterlinck, La vita delle api, libro settimo)

(Giuliano, 3 agosto 2004)

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